RISATE E FOLTO CAST IN UNA COMMEDIA DAL SAPORE ANTICO - Indicatore Mirandolese
Grand Budapest Hotel (The Grand Budapest Hotel)
Regia: Wes Anderson.
Con: Ralph Fiennes, Tony Revolori, Adrien Brody, Saoirse Ronan, Willem Dafoe, Tilda Swinton.
Usa/Germania, 2014, commedia, colore, 100 min
Sembra che oggi siano pochi quelli riescono a realizzare grandi commedie. Wes Anderson, qui al suo ottavo lungometraggio, dimostra di avere questa capacità, confermando (riciclando?) il suo stile, riproponendo i suoi temi, ispirandosi ai grandi del passato come Ernst Lubitsch o Powell & Pressburger.
La struttura è quella del racconto nel racconto: una ragazza legge un romanzo in cui l’autore rievoca il suo incontro con Zero Mustafa, il proprietario di un lussuoso hotel nell’immaginaria Repubblica di Zubrowka. A sua volta Mustafa racconta di come negli anni ’20 riuscì a diventare proprietario dell’albergo, iniziando a lavorare lì come fattorino e stringendo una solida amicizia con Gustave (Ralph Fiennes), concierge molto efficiente e con un debole per le donne mature.
L’eredità che viene lasciata a Gustave da una di queste signore (Tilda Swinton), misteriosamente assassinata, metterà nei guai lui e Zero. Complotti, amore, avventura, inseguimenti: Grand Budapest Hotel prosegue la virata del regista verso lidi sicuramente più graditi al grande pubblico. Ma non per questo il suo cinema perde in freschezza o raffinatezza e continua a essere un incontro riuscito di diverse culture (americana, indiana, mitteleuropea) ed un mix saporito di stilemi alti e bassi. Il tutto condito da un’irresistibile ironia, che qui fa spesso appello a iperboli cartoonesche. Grand Budapest Hotel infatti è prima di tutto una farsa esilarante.
Merito di dialoghi brillanti, trovate demenziali e un carosello di personaggi comici, interpretati da un foltissimo cast di attori famosi – spesso volutamente fuori parte – che si divertono e ci divertono. I numeri per essere un nuovo cult movie ci sono tutti, dalle battute memorabili alle scene da antologia, tra cui una delle sequenze di evasione più demenziali della storia del cinema. Non manca un sottotesto malinconico, come spesso nelle commedie di Anderson: oggi valori come disciplina e umanità sembra che ce li siamo lasciati alle spalle.
Sergio Piccinini
Submit a Comment