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PICO PRECETTORE DI MICHELANGELO A FIRENZE RICAMBIATO CON IL RICORDO NELLA CAPPELLA SISTINA - Indicatore Mirandolese

PICO PRECETTORE DI MICHELANGELO A FIRENZE RICAMBIATO CON IL RICORDO NELLA CAPPELLA SISTINA

Sergio Poletti questa volta ci riporta a quando il filosofo mirandolese trovò ospitalità alla corte di Lorenzo Il Magnifico

Giovanni Pico venne accolto alla corte di Lorenzo il Magnifico nel 1484, quando aveva 21 anni. Subito legò con i letterati che frequentavano l’Accademia Platonica, incontrando Lorenzo il Magnifico, il Poliziano, Ficino, Cristoforo Landino, ma non disdegnò neppure di fare il precettore ad un ragazzino che con la scultura già rivelava un genio: Michelangelo Buonarroti, che lavorava nel Giardino di San Marco ricevendo da Lorenzo, tutti i mesi, 25 ducati.

Anche Ficino e Poliziano impartivano a Michelangelo qualche lezione, ma Clarice Orsini, figlia di Jacopo (che ebbe dieci figli nonostante fosse di salute cagionevole) preferiva il conte di Mirandola; l’avrebbe preferito anche per l’educazione dei suoi figli, visto le tendenze dei due noti letterati omosessuali, con cui litigò in varie circostanze. Per farlo aveva, tra l’altro, ordinato a Luigi Pulci di scrivere qualcosa contro i filosofi e i cortigiani intellettuali della prima ora. E questi rispose con un sonetto satirico: “Costor che fan sì gran disputazione/ dell’anima, ond’ell’entri ond’ell’esca/ o come il nocciol si stia nella pesca,/ hanno studiato su’n gran melone:/ Aristotele allegano e Platone/ e voglion ch’ella in pace requiesca/ fra suoni e canti, e fannoti una tresca/ che t’empie il capo di confusione.”

Ficino era denominato il venerabil gufo soriano. Ficino avrebbe voluto far cacciare Pulci, l’ homuncolo, la pulce perniciosa, che tuttavia se ne andò da sola…

Clarice riuscì, per un certo periodo, a far licenziare il Poliziano, gran letterato, ma personaggio ambiguo…

Michelangelo era a corte considerato come di famiglia. Consumava i pasti con i padroni di casa nel palazzo di via Larga: con Piero, Giovanni, Giuliano, Lorenzo, Clarice e illustri personaggi, era rispettoso e restò a Firenze fin dopo la dipartita di Lorenzo poiché non sopportò lo squallore che seguì con la repubblica teocratica del Savonarola. Il banchiere Lorenzo, che favori l’edilizia, volle per sé e gli amici ville splendide, si fece tanti alleati importanti, fu vero ago della bilancia nella politica italiana, collezionista, poeta (Pico per certi aspetti stilistici lo paragonava più importante di Dante e Petrarca). Come mecenate il Magnifico commissionava opere al Verrocchio, al Ghirlandaio, a Benozzo Gozzoli, Antonio del Pollaiolo, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli, Filippo Lippi, Luca della Robbia e Giuliano di San Gallo. Il signore della Repubblica di Firenze, che comprendeva pure Prato, Pistoia, Pisa, Volterra, Cortona, Arezzo e Montepulciano, morì nel 1492 per una grave forma di gotta. Clarice scomparve nel 1488 per i postumi di una malattia polmonare.

Dunque aveva solo 9 anni Michelangelo nel 1484. Poiché l’istruzione era previlegio di pochi, l’andare a bottega era una prerogativa soprattutto di veri talenti. Michelangelo frequentò sia la bottega del Ghirlandaio (riscuotendo anche qui un piccolo salario) che la casa del Magnifico, che veniva considerato tra i più potenti d’Europa. Nei suoi primi passi lo scultore aveva imparato l’arte da Ascanio Condivi, disegnava alla perfezione, studiava le opere classiche e le antichità, aveva imitato lo stile di Donatello. A lavorare con lui c’erano altri giovani: il Bugiardini, Granacci, Baccio da Montelupo, Sansovino, Torrigiani.

Michelangelo si improvvisava anche falsario: a volte spacciava per pezzo archeologico anche qualche Cupido dormiente o busti, seppellendo statue sotto terra dopo averle antichizzate.

Antonio Pico, che viveva a Roma, testimonia di aver visto un Cupido, scrivendo alla marchesa Isabella d’Este, una scultura non antica, ma così bella e integra da ingannare tutti come fosse di Prassitele. Lei la comprò, la passò a Guidobaldo da Montefeltro, venne poi razziata da Cesare Borgia a Urbino, tornò a Isabella che la sistemò nella “grotta” del castello di San Giorgio e qui rimase fino al 1627.

I Gonzaga vendettero il capolavoro nel 1632, assieme a tante altre cose artistiche, alla corte inglese di Carlo I, ma un incendio di Whitehall Palace lo fece sparire per sempre.

Tra i 15 e i 17 anni lo scultore prodigio aveva già realizzato un Crocifisso ligneo, la Madonna della scala, quasi completato la Battaglia dei centauri (opere nella Casa Buonarroti di Firenze, in via Ghibellina); aveva eseguito la Testa di fauno, modificandola su suggerimento del Magnifico perché i denti erano troppo perfetti in un soggetto di anziano e bastarono due colpi di scalpello per rendere più veritiera l’opera: un incisivo in meno e una gengiva rovinata…

A Firenze Giovanni Pico e Michelangelo andavano a messa insieme, ma più volte, quando il predicatore era il terribile Girolamo Savonarola, uscivano insieme sconvolti per la foga con la quale l’irascibile frate, sempre pronto ad attaccare i Medici e le oscenità papali con la sua voce cavernosa, descriveva l’apocalittico futuro non solo di Firenze. Nel 1494 morì Pico di veleno e Michelangelo lasciò la città e raggiunse Bologna, dove scolpì San Petronio, San Procolo e un Angelo per l’arca di San Domenico.

Michelangelo (scultore, pittore, architetto, poeta, di Caprese, Arezzo 1475-Roma 1564) come ricambiò il precettore dal quale trasse tanti insegnamenti? Ricambiò quando eseguì i capolavori della Cappella Sistina di Roma ispirandosi, per alcuni personaggi alla meraviglia della vita. Pico aveva scritto nel De hominis dignitate, descrivendo la Genesi, il miracolo dell’uomo, della Creazione, del microcosmo nel macrocosmo, annotando, tra l’altro… Ma al termine della sua opera l’Artefice desiderava che vi fosse qualcuno che capisse la razionalità di un’opera così grande, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la vastità.

Dio è l’Artefice, ma artefice è anche l’uomo nuovo, l’artista del Rinascimento, il secondo creatore dopo Dio.

Nella volta sono svelati o criptati segreti conosciuti da Pico, sono evidenti richiami neoplatonici, filosofici, sono nascoste lettere ebraiche, appaiono figure bibliche, le sibille accanto ai profeti di Israele, l’importanza dell’uomo nel mondo, dell’uomo nella natura da custodire; nella parete verticale del Giudizio Universale sono raffigurati sia il Pico biondo che due ebrei, suoi amici, tra i beati. Questi si distinguono per i copricapi (obbligatori) che indossano. Savonarola, invece, quale terrorista con il saio, è posto nel fango degli Inferi.

Il Vaticano, Firenze, Venezia, sono pieni di codici pichiani dedicati alla Cabala cristiana, ai libri sacri del popolo israelita, al popolo arabo, alle materie fatte tradurre dal filosofo riguardanti le religioni monoteiste, che la Chiesa, nella sua ortodossia imposta forzatamente e persecutrice, scambiava per eresie nel caso del nostro Pico, uomo e filosofo giusto, curioso, ma amante della libertà e della giustizia, perciò vittima dei poteri forti.

A conclusione del rapporto Pico-Michelangelo vogliamo citare il volume “I segreti della Sistina- Il messaggio proibito di Michelangelo” di Roy Doliner e Benjamin Blech (uno storico dell’arte e un esperto di Talmud), che ribadiscono che a giocare un ruolo di primo piano nella formazione intellettuale del giovane artista c’era Giovanni Pico.

Il carismatico Pico fu l’artefice di una riflessione filosofica e spirituale che coniugava misticismo antico, filosofia greca, ebraismo e cristianesimo.

Un Pico, dunque esperto di Torah, Talmud, Cabala e Midrash.  La scena di parte dell’affresco: una donna che bisbiglia nell’orecchio di un giovane nudo che le è davanti, accompagnato da due ebrei. Pico fa un cenno con la mano e fissa Cristo, che troneggia al centro della parete.

Vedansi anche il saggio di Giovanni Careri Ebrei e cristiani nella Cappella Sistina e Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, Cabbalah, di Giulio Busi e Raphael Ebgi, rispettivamente docente universitario e ricercatore presso la Freie Università di Berlino.

Cosa accadeva ai tempi degli affreschi della Cappella Sistina? In pratica i papi predicavano una dottrina antigiudaica, ma Michelangelo e Pico disubbidivano e si ribellavano al sistema autoritario della Chiesa in vario modo.

Oggi i maggiori studiosi concordano sul fatto che una sola mente, quella di Michelangelo non poteva concepire da sola un’opera così meravigliosa. De Marco e Verdon (cfr. la rivista Vivens Homo) e Chastel (cfr. Dagli albori al Rinascimento), asseriscono che il massimo ispiratore, colui che fece immaginare il modello antropologico di tante figure e che intingeva le cromie e le forme nella testa dell’artista, furono Giovanni Pico, il suo umanesimo, la sua poesia, la De hominis dignitate del filosofo.