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“A MIO NONNO”: STORIA DI ROMANO TREVISI, 37ENNE MIRANDOLESE, UCCISO NEL 1945 A GUERRA FINITA - Indicatore Mirandolese

“A MIO NONNO”: STORIA DI ROMANO TREVISI, 37ENNE MIRANDOLESE, UCCISO NEL 1945 A GUERRA FINITA

È una di quelle storie rimaste sepolte per tanti anni, come altre, pian piano riemerse per volontà dei famigliari. Quella che riportiamo riguarda Romano Trevisi, mirandolese, residente all’epoca in via Luosi. Ucciso nel 1945, a guerra finita. A raccontarla in una lettera inviata alla redazione de L’Indicatore la nipote Angela Trevisi.

“Mio nonno si chiamava Romano Trevisi. Fu trucidato alla fine della guerra, dopo la liberazione. Si presentarono a casa per portarlo via, mia nonna era spaventata, ma lui la tranquillizzò: “Non ti preoccupare Maria, mi portano al commissariato; ma torno presto, io non ho fatto nulla di male!” Lei lo coprì con un loden bianco perché quel giorno aveva la febbre e non stava bene. Non ritornò mai più a casa, non lo rivide mai più vivo e non arrivò mai al commissariato.

Lo portarono in aperta campagna e lo mitragliarono senza dargli la possibilità di difendersi, se di qualcosa era accusato. Quegli uomini si macchiarono della stessa brutalità, infamia e atrocità di chi avevano combattuto e vinto. Lasciarono una vedova con due bambine da sole nel dopoguerra con tutte le difficoltà che potete immaginare. Quello è stato un periodo buio della storia, dove odi personali, vendette e abusi, vennero compiuti, dove ci si fece giustizia da sé come in un far west.

Certo non sto accusando o condannando coloro che con coraggio lottarono per la Resistenza e per la libertà, ma quelli che la disonorarono! Mia nonna me lo fece vedere quel loden bianco, mi portò sopra in solaio e da un baule lo tirò fuori. Era un colabrodo, lacerato, bucato, falciato in modo disumano; come posso scordarmi di quello che ho visto! Mi è stato negato di conoscere mio nonno, di giocare con lui, di ascoltarlo, di abbracciarlo, chi lo ha conosciuto mi ha sempre parlato di una persona buona e generosa, che amava tanto la sua famiglia. Quando vado sulla sua tomba, sento a volte una fitta dolorosa, e dentro di me sento una voce che chiede giustizia, che chiede verità. Per troppo tempo non ho saputo reagire, dare una risposta a questa supplica e oggi spero che questa mia lettera venga pubblicata, che venga letta, che venga condivisa.

Con tanto amore, tua nipote Angela.”

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