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DECLINO SANITÀ NELLA BASSA: REGIONE, AUSL E AMMINISTRAZIONI PRECEDENTI RESPONSABILI DEL DEPOTENZIAMENTO OSPEDALIERO - Indicatore Mirandolese

DECLINO SANITÀ NELLA BASSA: REGIONE, AUSL E AMMINISTRAZIONI PRECEDENTI RESPONSABILI DEL DEPOTENZIAMENTO OSPEDALIERO

Da L’Indicatore n. 22

A rischio ridimensionamento il reparto di Cardiologia: da 12 a 5 posti letto. Esternalizzazioni con i soldi dei contribuenti

‘Modello smantellamento’. Può riassumersi in due parole il declino della Sanità nella Bassa modenese. Reparto dopo reparto il black out sanitario in corso da decenni, deciso ai piani alti di Regione e Ausl, prosegue il suo iter tra promesse non mantenute e annunci in grande stile. Oggi, dopo il ‘Punto Nascite’ del ‘Santa Maria Bianca’ destinato alla chiusura, esternalizzato come il Pronto Soccorso per carenza di medici, è a rischio il reparto di Cardiologia.

Migrato durante il Covid all’Ospedale Ramazzini di Carpi e in procinto di tornare a Mirandola, è già azzoppato al di là dell’annuncio di nomina del primario. L’Azienda parla di ‘Cardiologia Riabilitativa’, cosa ben diversa dalla preesistente Cardiologia, che contava 12 posti letto. Il reparto, infatti, verrebbe riaperto con 5 posti letto, insufficienti per gli oltre 80mila residenti dell’Area Nord.

L’accanimento nei confronti della Sanità della Bassa modenese ha radici lontane, prima con la chiusura dell’Ospedale di Concordia, fiore all’occhiello nazionale per l’Ortopedia, poi di San Felice e più di recente di Finale, fino ad arrivare al 2011. Anno in cui i sindaci dell’Area Nord firmarono il Pal (Piano attuativo locale) di declassamento dell’Ospedale di Mirandola.  Senza contare che la politica di sinistra, che per 70 anni ha governato queste terre, ha compreso solo con molto ritardo il valore del Distretto biomedicale e il suo potenziale per la sanità locale e nazionale.

Solo dopo il sisma 2012, i nove sindaci Area Nord e la Regione, timorosi che le multinazionali e le aziende biomedicali potessero migrare altrove, cominciarono a tessere lodi al Distretto e agli imprenditori, secondo polo al mondo dopo la Bay Area californiana. Tant’è che l’allora assessore regionale alla Sanità Sergio Venturi fece ‘outing’ confessando, durante l’inaugurazione di un reparto Gambro Baxter, rinato dalle macerie, la visione retrograda avuta dalla politica fino a qual momento verso i ‘padroni industriali’ del biomedicale. Un mea culpa rimasto tuttavia incompiuto se la Sanità continua a perdere pezzi.

Riavvolgendo il nastro agli anni ’90, l’inventore del biomedicale europeo, il mirandolese dottor Mario Veronesi mai riuscì nell’impresa di donare all’Ausl le apparecchiature necessarie per fare di Mirandola un presidio dialisi nazionale, come avrebbe desiderato.  Un sogno naufragato, come le promesse del Pd siglate dopo il Referendum Sanità, indetto nel 2015 dal M5S (con l’iniziale appoggio di Lega, FI e i Comitati), il primo a livello nazionale, poi replicato in numerose altre città, per impedire il declassamento dell’Ospedale di Mirandola e farne ospedale di 1° livello.

Invece, il paradosso della politica continua dopo il sisma quando i cittadini terremotati dei nove Comuni al posto delle attenzioni dovute e attese ricevettero la notizia della riduzione di 111 posti letto: da 211 a poco più di 100, con disagi ulteriori a quelli creati dal terremoto.  Ed è in quell’anno che nasce il Comitato ‘Salviamo l’Ospedale di Mirandola’ che unisce le forze con l’associazione La Nostra Mirandola, dal 2001 generosa donatrice di apparecchiature medicali, a difesa dell’Ospedale di Mirandola e della Sanità della Bassa.  L’Ausl, per rimediare alla soppressione dei posti letti, inventò le ‘Aree omogenee’, un insieme di specialistiche dipinte dalle amministrazioni Pd come ‘nuovo modello di avanguardia’. Di fatto un flop. Non contenti delle ‘aree omogenee’ i cittadini dell’Area Nord subirono anche i primariati ‘a scavalco’ tra Mirandola e Carpi, secondo flop registrato.  Infine, considerata la carenza di personale medico e infermieristico, dato segnalato su scala nazionale, l’Ausl ha dovuto di recente appaltare il Pronto Soccorso e il reparto di Ostetricia Ginecologia a costi folli per sei mesi, in scadenza il 3 dicembre, a 450 mila euro, soldi dei contribuenti, con turni a 1416 euro. Senza contare che i medici delle cooperative d’appalto hanno difficoltà a integrarsi con i medici di Ps e di Ginecologia Ostetricia, quest’ultimi svantaggiati sotto il profilo retributivo. Fatto, questo, che crea una certa frizione tra gli operatori.