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UNA TRAGICOMICA AVVENTURA AGLI ALBORI DEL BIOMEDICALE - Indicatore Mirandolese

Giorgio Goldoni

  Ovviamente si dovrebbe scrivere del futuro e non del passato, ma è anche vero che ho un bel malloppo di anni che vanno ricordati e salvati (una trentina molto abbondante in questo caso) e magari scavando nella memoria verranno generate altre idee da cogliere e sviluppare.

 

OH, MIRANDOLA!

Piantata al centro della Pianura Padana, condannata ad una inevitabile decadenza, in parte dovuta alla forza monopolizzatrice del non lontano capoluogo (ultimo atto in commedia era stato il vedersi sottrarre il mercato bestiame), e in gran parte alla totale non imprenditorialità dei suoi abitanti, era all’inizio degli anni  60 “zona depressa”, ma così depressa che il cartellone che citava vantaggi e sgravi fiscali per investire a Mirandola ingiallì penosamente e le aree destinate agli investimenti incentivati rimasero vuote e desolate.

 

LA TRASFERTA MITTELEUROPEA

 

Nel 1965 Veronesi, persona nota in quel di Mirandola, era per me, di fatto, un illustre sconosciuto. Venne un giorno a casa mia e mi chiese, insieme a Gianni Bellini (mio vecchio compagno di liceo e di scorribande), di accompagnarlo in Austria e in Germania per una ricerca di mercato sulle potenzialità dei suoi prodotti nei suddetti paesi. Io di quello che lui facesse nella sua aziendina non avevo la minima idea; lui mi fece avere un questionario da tradurre in tedesco e inglese, che poi avremmo dovuto sottoporre a quelle misteriose Blood Banks austriache e tedesche che Veronesi voleva visitare. La versione inglese non presentò alcun problema, ma quella in tedesco fu ben lontana dalla perfezione.

Il questionario fu tradotto diciamo in modo approssimativo (la mia conoscenza del tedesco era decisamente inferiore a quella dell’inglese e Gianni Bellini al momento non poteva essere di alcun aiuto); poi utilizzammo il ciclostile del Comune di Mirandola, dove avevamo degli amici, per farne parecchie copie da utilizzare nel viaggio: confessiamolo, il Municipio ci diede una mano. In una bigia mattina d’aprile partimmo con l’Alfetta di Veronesi alla volta di Innsbruck, dove al Btc &Blood Trasfusion Center) Veronesi si accorse della realtà, e cioè che il mio tedesco non era sufficiente per sostenere uno scambio di domande e risposte in un campo così specifico come la trasfusione sanguigna. Restò comunque moderatamente soddisfatto perché con il mio inglese avevamo comunque ottenuto tutte le richieste informazioni: in altre parole avevo evitato di essere bollato come un “puff” (1) fin dalla prima uscita.

A quel tempo Veronesi produceva tubicini per fleboclisi e stava preparandosi a produrre simili tubicini per la trasfusione sanguigna. L’assioma errato di quella trasferta tedesca, che scoprimmo solo più avanti, era che i tubicini per flebo non potevano essere commercializzati in Germania, come era il suo sogno, attraverso i grandi produttori di soluzioni fisiologiche, ma seguivano un iter diverso. Veronesi raccoglieva comunque informazioni che riportava avidamente sul suo brogliaccio, Gianni Bellini teneva d’occhio la situazione e io facevo gli interrogatori. Ci spostammo velocemente: Veronesi con la sua guida forsennata incocciò persino in un motociclista nel centro di Monaco.

Veronesi conosceva un solo piatto della cucina tedesca, la “Schnitzel mit pomfrits”,e ne mangiò due al giorno per tutta la durata del viaggio, ma sopportò stoicamente questa monotona dieta. Fu un lungo ed estenuante percorso attraverso Erlangen (alla Pfrimmer), alla Bayer di Leverkusen, alla Boehringer, irto di difficoltà impreviste per noi parvenu, per esempio il fatto che non era facile avere un appuntamento con una persona che contasse all’interno dell’azienda e fosse disposta a parlare con noi, in complessi articolati di migliaia di impiegati, di cui non conoscevamo la struttura, l’organigramma. Dove riuscimmo a spuntare un colloquio aleggiava una forte tensione, perché cosa avremmo risposto se ci avessero fatto richieste dettagliate sulla nostra officina di produzione, sui nostri sistemi di qualità, e così via.

Veronesi aveva allora solo una piccola sterilizzatrice in cantina e forse un paio di volonterose che assemblavano i suoi tubicini a mano, anzi “a manetta”. Eravamo nelle brume nordiche verso il fine settimana ed avemmo la sciagurata idea di passarlo a Berlino Ovest. Il Bundesrat si riuniva a Berlino ela Ddreffettuava estenuanti controlli nei posti di blocco in ingresso a Berlino. Morale: impiegammo tutta la notte del venerdì per fare un paio di chilometri in coda. Berlino fu qualcosa di anonimo, anche la visita d’obbligo a Berlino Est filò liscia (come italiani non avevamo alcun problema ad entrare o uscire dalla Ddr): sotto la pioggia la città era tristemente squallida. Il lunedì ci vide finalmente in lidi meno uggiosi, nella Mitteleuropa austriaca, a Graz. Il tasso di soddisfazione di Veronesi aumentò ancora perché riuscì a localizzare un potenziale distributore dei suoi prodotti in Austria, paese che in seguito gli avrebbe dato moltissime soddisfazioni.

A quel punto Veronesi giocò un asso che aveva nella manica: aveva un contatto in quel di Zagabria. Business in Jugoslavia, fascinosa prospettiva. Anche noi caldeggiammo la visita d’obbligo a Zagabria (da Graz un tiro di schioppo), più che altro per fare un poco di turismo, perché io restavo segretamente dell’idea che quello non era per il momento un mercato interessante per i prodotti di Veronesi. Alloggiammo all’Hotel Esplanade, sito in solido stile asburgico, pieno zeppo di italiani . Il contatto di Veronesi purtroppo non si materializzò, i tempi non erano ancora maturi.

Il ritorno a Mirandola fu senza storia,  ma, visto in prospettiva, era l’inizio di una molto fruttuosa collaborazione che si sarebbe materializzata nell’immediato futuro. Gianni Bellini, dopo una parentesi all’Artsana di Como, utilissima fonte di esperienze professionali, iniziò a lavorare con Veronesi sul versante commerciale. Il sottoscritto iniziò più tardi, completati studi universitari e servizio militare.Mirandola ha un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Veronesi (a proposito, il suo nickname per gli amici era Jim Toro, l’eroe irruento, ma positivo e concreto, di una fortunata striscia di fumetti dell’immediato dopoguerra).

 

Giorgio Goldoni

 

(1) In dialetto mirandolese, un millantatore che promette e non mantiene.

 

 

 

 

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